mercoledì 5 maggio 2010

AFRIKANATION 2009 Capitolo 0Bis


Questa volta l’Africa vera ragazzi, non le solite mete mediterranee da avventurieri della domenica (non me ne vogliate...), Africa Occidentale, Africa Nera. E si vede, e si sente che non siamo in Tunisia. Con questo non voglio dire che il Mediterraneo sia tutta una passeggiata, il nord dell’Algeria di questi ultimi anni non è proprio un gran bel posto dove infilarsi per noi occidentali, Libia ed Egitto invece hanno degli ostacoli burocratici che farebbero scoraggiare gente come Roald Amundsen. Fottute carte. Diciamo che Tunisia e Marocco rappresentano un’ottima offerta ad un prezzo ragionevole, ma è pur sempre Mediterraneo, casa nostra. Di sicuro, qui invece, il contatto con il continente è più esteso. Certo non è la Nigeria, ma non siamo poi così lontani. Il problema principale qui, per un viaggiatore non organizzato come me s’intende, a parte le malattie, i rapimenti, le continue guerre civili e colpi di stato che si alternano a ritmo di djambè, sono i documenti e la lentezza tutta africana nel compilarli, leggerli, controllarli e ricontrollarli e trascrivere il tutto su enormi libroni che mai nessuno leggerà. Tutto è lento, dilatato nel tempo, e guai ad innervosirsi, basta un cenno tra loro e ti ritrovi lì fino alla fine del loro turno, che dura almeno 10 ore. L’Africa, è un continente per viaggiatori che hanno tanto tempo, tutti gli occidentali che ho incontrato sulla strada sarebbero rimasti dai 4 mesi ad un anno, o addirittura per sempre. Che lavoro facessero era poi la domanda scontata, e tra pensioni, aspettative e disoccupazioni trovo parecchi che fanno lavori stagionali, barista, skipper, comandante di imbarcazioni, cuochi. Io, con i miei 23 giorni, ci faccio la figura del pirla, ma cosa vuoi, almeno sono qua e ci provo no?
Ma andiamo con ordine, la potrei definire romanticamente: “Storia di un amore”. Maggio 2002, con l’utilitaria di mia madre in 2 giorni, io ed un mio amico, arriviamo a Gibilterra, prendiamo la nave senza macchina ed andiamo a Ceuta, colonia spagnola in Marocco. È amore, è amore per quel qualcosa che sta laggiù, dietro quelle montagne, che mi chiama nel profondo e mi agita. Ho preso il mal d’Africa. C’è bastato poco, troppo poco. Tornerò.
Aprile 2004. Vado in Egitto con l’università, mi piace molto ma la sensazione più bella la provo ad Asswan, a sud. Non so cos’è, ma c’è, ed è a sud. Queste distese di nulla, queste terre aride ed inospitali mi affasciano. Il grande sud, il grande sud, non c’è altro da dire.
Gennaio – giugno 2006. Vado in Iraq per lavoro e me ne sto lì 5 mesi non facendo passare un tramonto senza fermarmi anche solo dieci secondi a contemplarlo.
Dicembre 2007. Mi faccio convincere dalla fidanzata ad andare in Marocco con l’Alpitour. Non c’erano alternative e comunque il viaggio va bene e la piccola compagnia assemblata sul posto è affiatata. Anche qui è il sud che mi attira, superato l’Atlante ti affacci ad un mondo nuovo, caldo, polvere, dromedari, le città di frontiera col Sahara.
Maggio 2008. Prendo la moto nuova e vado a testarla in Tunisia per 10 giorni, dove, tra gli altri, incontro gli amici di Tavolo 8, piccola ma agguerrita associazione umanitaria che si muove su degli infaticabili vecchi Range Rover. Trovo la moto in fuoristrada grandiosa, ma sulla sabbia non riesco ad andare, troppo pesante, ed io non sono molto capace. Cado in continuazione, ma dopo aver incontrato dei tedeschi con moto pesanti metà della mia, mi rendo conto di non essere il solo ad essere in difficoltà. Raggiungo comunque il “Cafè les portes du desert” ma retrocedo davanti alle dune di El Biben (20 metri di sabbia) e con la pista della “pipeline” raggiungo anche Ksar Ghilane, tenendomi, come un idiota, a qualche centinaio di metri dal comodissimo asfalto, ma il gusto della pista mi pervade. Il Grande Erg Orientale cazzo! Ancora questa strana sensazione, questa attrazione, curiosità, voglia di mettersi alla prova…non so proprio come definirla. Penso che ormai sia giunto il momento di spingersi più a sud. Torno in Italia. Al lavoro passo le pause pranzo e caffè a cercare mete interessanti e soprattutto alla mia portata. Scopro così che per attraversare il Sahara ci sono grossomodo 6 modi via terra: scendere lungo il Nilo e arrivare in Sudan, attraversare il deserto della Libia su sabbia, percorrere asfalto fino a Tamanrasset e poi piste e Niger, scendere lungo la pista di Tanezrouft dall’Algeria al Mali, la pista di Tindouf, tra Algeria e Marocco e poi Mauritania ed infine la Transahariana Occidentale che porta dritto in Senegal e Guinea passando per Marocco e Mauritania, e che (quasi) tutta asfaltata com’è fa proprio al caso mio e dei miei giorni di ferie. Nel frattempo parlo con i ragazzi di Tavolo 8 e soprattutto col presidente e ci organizziamo per fare qualcosa insieme, magari proprio il quella parte di Africa.
Giugno- dicembre 2008, me ne vado 6 mesi in Kossovo per lavoro e lì, nelle lunghe serate balcaniche, inizio ad organizzare tragitti e pianificare il viaggio. Mi studio percorsi “dakariani” per il Marocco ed il Sahara Occidentale, veloce asfalto per la Repubblica Islamica di Mauritania ed escursioni nell’interno del Senegal. Sembra fattibile. In agosto esce la notizia di un golpe in Mauritania, Nouakchott è in mano ai militari, ma stranamente non ci sono spargimenti di sangue. Penso, e spero che la situazione migliori prima della partenza. In internet sulla situazione politica poche notizie, sul viaggio, in italiano, ancora meno: un ragazzo l’ha fatto da solo nel 2005 con una Kawasaki Ninja e 2 con la Harley-Davidson da Milano nel 2007, basta. Perché allora io e la mia bella Mukkona 1200 Adventure non possiamo farlo? Torno a dicembre, tedio morosa ed amici con quella che sembra diventata un’ossessione (ma non era ancora niente)…Dakar…Dakar. Prenoto la nave per Tangeri per il 28 febbraio, le cose cominciano a girare, vado avanti con la trafila dei documenti, parlo solo di quello con tutti…Dakar…Dakar. Concesse le ferie, vedo i voli, prendo contatti con la Messina Line, spedizionieri, che mi porterà la moto da Dakar a Genova: fare 2 volte la stessa strada è assurdo, tanto più in Mauritania! Dakar…Dakar…Prenoto vaccini, patente internazionale, carnet de passage en douane (un documento doganale rilasciato dall’ACI, che poi tra l’altro in quei paesi non serve più). Manca ormai poco più di un mese alla partenza. Dakar…Dakar…Siamo pronti! …Se non che il 18 gennaio alle ore 15 e 25 circa la ruota anteriore della mia moto incontra sul suo cammino, a soli 35 km da casa, provenendo dal lago di Garda, il fatidico stato solido dell’acqua, altrimenti detto ghiaccio o “sono cazzi”. La moto se ne va e cappotta sul cordolo di una rotonda, io invece scivolo per una cinquantina di metri col culo finchè a fermarmi non ci pensa un bel cartello stradale. Sbatto con la tibia, lo stivale tecnico attutisce ma non impedisce al mio povero osso di uscire per ben 5 centimetri. Sinceramente, la prima cosa che penso? Cazzo…Dakar! E lo dico anche al primo che viene a soccorremi…che ovviamente manda a cagare me e Dakar. Da steso a terra cerco di tranquillizzare tutti che sto bene ma che non mi devono muovere né togliere il casco. Col telefono chiamo mia madre e dico che è tutto apposto e che “credo” la gamba sia rotta, anche se vedo il piede girato quasi dalla parte opposta. Spero di non avere un’emorragia, non tocco niente per paura di fare peggio. Chiamo Massimo, un mio amico, perché penso sia lì in zona, per chiedergli di venire a tirar su la moto, la calma con cui glielo chiedo gli fa pensare che sia uno scherzo del cazzo, ma purtroppo non è così. Alle infermiere del 118 dico di avere sicuramente una frattura scomposta, ma sorridono e non mi credono perché dovrei sentire più male, dicono, vabbè, io lì per lì non sono proprio convinto ma non si vede niente a causa dello stivale. Scoprirò invece in ospedale che non solo era scomposta ma che l’osso mi ha bucato tutti e tre i pantaloni, due dei quali in cordura imbottita! Freddo ed adrenalina hanno fatto un ottimo lavoro! Dakar…addio…Ambulanza, ospedale, intervento d’urgenza, una settimana di ricovero, 9 mesi a casa (si fa per dire…ovviamente ero di nuovo in sella alla mia vecchia R1150R più o meno un mese dopo l’incidente, stampelle legate dietro e via!) con un fissatore esterno e poi una sintesi endomidollare (un chiodo/tondino di 30 cm largo 11mm) dentro la tibia che mi hanno comunque consentito di percorrere 30mila km di Alpi e Appennini, nonchè di Pirenei e Asturie a cavallo della Mukkona 1200 messa a nuovo con 2mila euro dopo un paio di mesi!...Ragazzi quando c’è la scimmia non c’è niente da fare! THE MONKEY POWER HAS YOU.

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