giovedì 7 marzo 2013

Urmia, provincia dell'Azerbijan Occidentale. Iran. Ok, in effetti ieri sono stato un po’sbrigativo, ma la connessione non andava bene e c’era Hossein che mi aspettava per portarmi giusto giusto davanti ad fantastico narghilè a conclusione ...di una giornata comunque faticosa. Ci siamo sentiti ieri pomeriggio ed ero d’accordo con lui che l’avrei raggiunto a Orumiyeh (Urmia), ma poi il tempo si è messo male, è arrivata l’ennesima tormenta che però, a differenza che in Turchia, qui ha creato un vero casino sulla strada con camion che non riuscivano a salire, altri che non riuscivano a fermarsi nella discesa e mi sono fatto praticamente 10 km con i piedi per terra su una lunghissima lastra di ghiaccio, ovviamente in colonna e altrettanto ovviamente a salire e scendere per sto passo che neanche so come si chiama..panico oggi le mie doti funamboliche sono stata consacrate all’eternità! Insomma quando Hossein non mi vede arrivare, prende la macchina e comincia a fare su e giù per la strada che arriva da Khoy fino a che, in mezzo alla neve che veniva giù che Allah la mandava (qui comanda lui), mi trova con la mia moto/camper in mezzo alla tormenta e mi porta a casa della sua famiglia. In serata poi siamo usciti con i suoi amici. Qui, in questa regione, che è chiamata Azerbaijan, ci tengono a dire che sono iraniani, ma più azeri, che sono di origine turca come i turkmeni, chirghisi, e i cinesi uiguri…infatti Urmia ha la stessa radice di Urumqi (che sta nello X’jang)…e significa città dell’acqua…che spettacolo ste cose.. esce ogni tanto il mio spirito archeo/antropologico…ok me la tiro vabbè?! Cmq tornando a noi, ieri sera un bel narghilè rilassante tra amici ha concluso una delle giornate più belle della mia vita..quella in cui sono entrato in questo magnifico paese dove di folle ho visto solo qualche sorpasso per strada! Ora esco, Urmia mi aspetta. Lamps.

lunedì 11 aprile 2011

...solo un pensiero che mi ha attraversato la mente...
...ONEMAN>ONEMOTO>ONEROUND!...
è tempo di iniziare a pensarci...
:)
"Il sole si spegne su qualche terra lontana, dove non è visibile alcuna casa, con tutta la gloria e lo splendore che prodiga alle città, e in maniera mai vista prima; tramonta su un solitario falco di palude le cui ali si tingono d'oro; su un topo muschiato che sporge il muso fuori della tana; sopra un piccolo ruscello venato di scuro, al centro della palude, che inizia il proprio corso sinuoso snodandosi lentamente attorno ad un ceppo imputridito."

Henry David Thoreau

mercoledì 6 aprile 2011



"Il viaggiatore, come una monade autosufficiente, ricusa il tempo sociale, collettivo e stringente, a vantaggio di un tempo individuale fatto di durate soggettive e istanti gioiosi voluti e desiderati. Asociale, misantropo, irrecuperabile, il nomade ignora la misura del tempo e funziona con il sole e le stelle, si istruisce con le costellazioni e il movimento degli astri nel cielo, non possiede orologi, ma un occhio animale esercitato a distinguere le albe, le aurore, le tempeste, le schiarite, i crepuscoli, le eclissi, le comete, gli scintillii stellari, sa leggere la materia delle nuvole e decifrare le loro promesse, interpreta i venti e conosce le loro abitudini. Il capriccio governa i suoi progetti in relazione ai ritmi della natura. Lui e il suo impiego del mondo, non conta nient'altro. Ecco perchè discende dagli esiliati e dai reietti. Quando si mette in strada, il nomade obbedisce a una forza che, sorta dal suo ventre e dal profondo del suo inconscio, gli dà l'impulso e gli dischiude il mondo come un frutto esotico, raro e dispendioso. Egli realizza il suo destino fin dai primi passi. Sulle piste e sui sentieri, nelle steppe e nei deserti, nelle strade delle megalopoli o nella desolazione delle pampas, nell'oscurità profonda o nell'aria attraversata da correnti invisibili, sa che l'appuntamento con la sua ombra è inevitabile. Non ha scelta."

da Filosofia del viaggio di Michel Onfray

lunedì 4 aprile 2011

CAMMINARE



"Il mio desiderio di conoscere è discontinuo, ma il desiderio di rigenerare la mente in atmosfere sconosciute, esplorando zone non ancora percorse dalle mie gambe, è perenne e costante. Ciò che di più alto possiamo raggiungere non è la Conoscenza, ma l'Armonia con l'Intelligenza."

da Walking di Henry David Thoreau.

giovedì 20 gennaio 2011

http://blog.libero.it/Chioggiatv/view.php?id=Chioggiatv&mm=1012&gg=101222

venerdì 10 dicembre 2010

Articolo apparso sul sito www.motonline.com http://www.motonline.com/viaggi_amici/Articolo.cfm?Codice=314304


DALL'ITALIA ALLA MONGOLIA
di Daniele Donin

10.800 chilometri, duemila dei quali in fuoristrada. Condizioni di viaggio assurde e una BMW stracarica. Ecco il resoconto dell'avventura più intensa che un motociclista possa immaginare.

Un ultimo profondo sguardo alla gher ed alle braci quasi spente. Esco nella fredda alba mongola. Attraverso il campo dell'Oasis Guest House di Ulaanbaatar con lo zaino in spalla, dirigendomi verso il taxi che già mi aspetta fuori dal cancello, per portarmi all'aeroporto. Ad ogni passo rivivo nella mente gli incredibili momenti di questo lungo viaggio iniziato più di 40 giorni fa.

Anche se il mio "istinto di viaggio" vorrebbe proseguire, è finito tutto, la moto sarà in volo tra qualche giorno. Oggi l'aereo mi riporterà a casa dopo quest'esperienza irripetibile iniziata in una calda mattina di luglio. Dall'Italia alla Mongolia in moto, in solitaria per 11.000 km. Sognavo questo viaggio da anni, "Mongolization", l'ho chiamato spiritosamente così, ma sono riuscito a realizzarlo solo ora. Passavo intere serate a vedere foto, filmati, leggermi racconti di chi aveva avuto la fortuna di seguire questo itinerario fantastico. E dopo alcuni mesi di preparazione, carte varie, visti, moto, un po' di nozioni di meccanica, pianificazione dei percorsi e un po' di preparazione fisica è arrivato anche per me il fatidico momento. Anche se la partenza ufficiale di CHIOGGIA-ULAANBAATAR 2010 è stata il 3 luglio, per motivi di lavoro parto il 10 ore 09.30, da Gorizia. Per i primi giorni ho pensato, visto che conoscevo già le zone attraversate, di tirare un po' con i chilometri e di portarmi il più avanti possibile, per evitare ritardi ed eventuali intoppi alle dogane. Così in tre giorni attraverso Slovenjia, Croazia, Ungheria e raggiungo Kiev, la fiabesca capitale dell'Ucraina. Veramente viva e movimentata, piena di locali e di gente in giro, penso che andrebbe vissuta almeno per un fine settimana, ma questa volta non posso permettermelo, la strada verso Est è ancora lunga.


Lasciata alle spalle la capitale mi dirigo verso la Russia e a Char'kov incontro casualmente la prima di una serie di persone incredibili che mi avrebbero aiutato nel viaggio senza chiedere niente, ma per puro spirito di fratellanza tra motociclisti. Sergei si ferma a bordo strada, mi aiuta a cercare un albergo, mi invita a cena con la sua famiglia e mi porta pure a casa sua riempiendomi di regali utilissimi, a me e alla moto… il tutto per semplice altruismo, una parola che molti di noi penso abbiano dimenticato. L'indomani, dopo 4 ore di dogana entro in Russia! È davvero una grande emozione varcare quel confine così esotico e tanto agognato, un'emozione però che, francamente, come mi aspettavo, si affievolisce mano a mano che la percorri verso est. L'ambiente naturale non è molto variegato, praticamente pianeggiante dove si alternano campi e boschetti, ogni tanto qualche lago, e caldo. La sensazione che però si accompagna a questi luoghi è di libertà… tutto questo "niente" che hai intorno si trasforma in un'ebbrezza che ti carica di un'emozione che ho provato solo in Africa, attraversando la costiera in Sahara Occidentale.

Questa sensazione mi accompagna di giorno in giorno, di città in città: Voronez, Penza, Uljianovsk, Togliattigrado. Finalmente entro nell'esotica terra dei Tartari (la Repubblica Autonoma del Tatarstan), dove il paesaggio cambia e la capitale Kazan è un golosissimo spettacolo per gli occhi: l'antico Cremlino, patrimonio Unesco, è davvero un toccasana dopo giorni di città-dormitorio stile sovietico. Circondato da possenti mura bianche, racchiude al suo interno un miscuglio di culture e religioni, segni indelebili della lunga storia della città. Su tutti gli edifici però svetta la moschea di Qol Sharif, un gioiello architettonico. Me la giro e rigiro fino a sera, tra l'altro, in compagnia di Olga, la figlia di Sergei e di suo marito Timur, che, abitando lì, mi fanno da guide esclusive. Kazan mi piace molto, ma devo ripartire verso Est. A parte gli Urali, belli e selvaggi e il cartello di confine "Asia/Europa", il paesaggio non cambia molto. Ai villaggi costellati di vecchie isbe si susseguono grandi centri Ufa, Cheliabinsk, Kurgan, Ishim, Omsk, città tutto sommato vivibili, ma per noi italiani, sicuramente vuote, senza una loro bellezza. Caratterizzate perlopiù da immensi quartieri residenziali, con quelle centinaia di casamenti numerati.

Arrivo a Novosibirsk, da dove poi avrei "svoltato" verso Sud, Barnaul e gli Altaj, e qui per uno stupido vezzo do una vera "svolta" a tutto il viaggio. Decido all'ultimo momento di fermarmi a Novosibirsk, è talmente grande (quasi 1,5 milioni di abitanti...la terza di tutta la Russia!) che preferirei fermarmi poco dopo in un motel, ma al bivio devio verso la città... penso che forse troverò delle gomme nuove per la moto... la posteriore è un po' usurata e quelle di scorta che mi sono portato non sono nuove. Ma davvero non sarebbe necessario perché la gomma è assolutamente ok! Cerco un albergo, sono in centro e un motociclista fermo al mio stesso semaforo con un Honda VFR mi saluta con un cenno. Ci fermiamo subito dopo e scopro che Anton è il padrone di un piccolo negozio di articoli per moto FBR (For Bike and Riders) e di un piccolo garage/officina. Mi invita a casa sua per dormire. Massì perchè no? accetto, sembra proprio una brava persona. Mettiamo via le moto e poi usciamo a cena, mangio borsch e pelmini (tortellini al vapore)... fantastici! Torniamo a casa sua e ci scambiamo un sacco di musica e i documentari di Long Way Round... si va a dormire e la mattina dopo si attiva per cercare la gomma posteriore che sul GS ha una misura tutta sua, 150/70 R 17... veramente impossibile da trovare qui. Chiama per un'ora un sacco di gente ma niente... in compenso però mi dice che altri due motociclisti europei stanno cercando gomme da enduro e che sono al suo negozio...così ci andiamo ma lì ci sono solo le due moto, un'Africa Twin e una Varadero 125, lascio un biglietto con il mio numero e vado con Anton a fare delle commissioni per il negozio... poco dopo mi chiamano, loro sono in un hotel poco fuori dal centro, il Discovery, perfetto! Ci beccheremo in serata. Nel frattempo conosco altri motociclisti russi amici di Anton, che mi invitano a stare con loro per la sera... purtroppo, con molto dispiacere, devo dire di no visto l'impegno con gli europei.

Alexej, che fa bellissimo abbigliamento in pelle per moto, mi accompagna all'hotel con la sua bella custom, così posso incontrare gli europei e passare la notte lì (e per non disturbare ancora Anton!)... In serata ci becchiamo, sono Volker e Mel... lui tedesco e lei francese, conosciutisi in Uzbekistan qualche settimana prima. Per quello stupido vezzo della gomma da quel momento e per un po' di giorni il viaggio proseguirà con questi nuovi amici, che poi ho reincontrato qui ad Ulaan Baatar. Volker è partito da Koln con un amico al quale hanno rubato tutti i documenti in Georgia ed ha poi dovuto continuare da solo fino ad UB, Melusine, invece, è partita da Parigi con la sua Varadero 125 e la sta riportando in Giappone, alla Honda! Da quel momento il viaggio assume un altro sapore, diverso. Il mattino dopo, sostituite le gomme delle loro moto partiamo verso Barnaul accompagnati da Anton, che sembrava volersi aggregare a quella improvvisata comitiva! Da Barnaul abbiamo poi proseguito verso i Monti Altaj e il confine, ma l'Africa Twin una mattina ci ha fatto una brutta sorpresa. Niente di particolare, ma una gomma a terra è sempre una rogna, soprattutto in mezzo ai monti! Smontata, stallonata e riparata lì sul posto, ripartiamo dopo un paio d'ore! Nel pomeriggio stesso problema, la ripariamo ancora e capiamo il mistero: nel sostituirla gli amici russi l'hanno montata male e la camera d'aria si pizzica di continuo lacerandosi. Speriamo bene e proseguiamo, ma dopo altri 100km è di nuovo a terra. È sera, ci accampiamo vicino ad un fiume e la ripariamo per la terza volta cercando di eliminare il problema, ma Volker, tra l'altro, usa una colla vecchia e le pezze non tengono. Sembra quasi che qualcuno non voglia farci uscire dalla Russia!

Stesso problema anche il giorno dopo. Così, a malincuore decidiamo di separarci, Volker aspetterà una gomma nuova da un amico di Anton e forse proseguirà per la Mongolia, anche se ha il morale a pezzi. Non è stato facile salutarsi, ma il fatto che lui non fosse sicuro di voler proseguire per la Mongolia ha reso meno amaro il boccone. Così restiamo soli, io e Melusine, e ci dirigiamo veloci verso quel confine così vicino, ma così irraggiungibile per giorni. Dopo l'attesa alla dogana (il valico è chiuso per l'ora di pranzo, cena e la notte) la misteriosa ed incontaminata Mongolia si apre ai nostri occhi. La prima impressione che ti assale è che quello che avevi sempre pensato fosse il niente in realtà non lo era.
C'è una strana magia nell'aria e queste montagne brulle intorno a te a perdita d'occhio ti gettano in un mondo quasi fiabesco, fatto di pietre taglienti, sentieri impervi e sconosciuti, dove la natura, sotto questo cielo incredibilmente blu, è l'incontrastata sovrana e l'uomo è solo un ospite. Per orientarci seguiamo i tralicci, certi che vadano di villaggio in villaggio. Tutto scorre lento intorno e non ci sono strade, ma solo una miriade di segni lasciati da chi è passato prima di noi, sta a te decidere quale seguire. Superata la prima "città", Tsagaannur, ci accampiamo per la sera. L'altitudine non è da poco, 2100 m, e il freddo pungente si fa sentire. L'indomani, dopo aver tolto il ghiaccio dalle moto ripartiamo verso Bayan-Olgy, capoluogo dell'omonima aimag, distretto amministrativo mongolo. Superiamo a fatica dei passi che raggiungono quasi i 2600 m, la moto di Melusine non sempre ce la fa e a volte tocca spingerla fino al passo! Ma da un semplice 125 non si può pretendere troppo! La frizione le fa i capricci e il disco si incastra, così rischiamo di bruciarle anche il motore. Ma nonostante ciò ce la facciamo. Dopo varie peripezie arriviamo a Bayan-Olgy e dopo qualche chilometro di inaspettato asfalto troviamo un meccanico che con qualche colpo di martello ben assestato le risolve il problema della frizione! Nel frattempo chiedo notizie sul nord, perché è lì che voglio andare: Uvs Nuur, Ulangoom, Moron e Khövsgöl Nuur. Diverse persone mi riferiscono che le piste sono tutte bloccate a causa delle forti piogge e che due fiumi sono difficili da attraversare anche con i camion; tra l'altro le piste indicate nella mappa non esistono. Bene, lo raggiungerò in un altro modo, anche se dovrò modificare una parte del percorso studiato a casa. Riprendiamo la via verso Est e poche ore dopo ci accampiamo sul lago di Tolbo mentre il tramonto ci regala dei colori mai visti in vita mia. L'indomani, sulla strada verso Hovd, punto in cui ci divideremo, ci aspettano altri cinque passi, uno dei quali a 2650 metri! Ma ce la facciamo anche questa volta, senza troppa fatica superiamo anche i guadi che attraversano ripetutamente la pista. Il paesaggio intorno è a tratti quasi irreale, e le uniche forme di vita sono i cammelli allo stato brado e le numerosissime aquile che volteggiano sulle nostre teste. È davvero difficile descrivere a parole o con le foto questi luoghi magici. Arrivati a Hovd mangiamo insieme e ci scambiamo le foto. È arrivato anche per noi il momento di dirsi addio. Melusine proseguirà verso Est, per raggiungere Ulaan Baatar e poi ripartire verso la Russia e il Giappone, io invece, visto il problema delle piogge me la prenderò più comoda e andrò a nord, verso il Khövsgöl Nuur, il grande lago immerso nella taiga siberiana, da lì poi raggiungerò UB. Proseguo verso nord per un centinaio di chilometri e mi accampo vicino all'Har-Us nuur, in un parco naturale. Il silenzio che mi circonda è interrotto solo dalle decine di libellule che mi ronzano intorno, ghiotte di zanzare. Dopo il tramonto sorge anche la luna ed allora il quadro è proprio perfetto. Nelle nostre vite non capita spesso di poter distogliere lo sguardo dalla realtà e di poter lasciarsi andare con la mente tra le stelle, ma qui, dove tutto cambia di significato, questo piccolo gesto che facevo da bambino nasce spontaneo. Il cielo è un'immensa distesa di stelle che si allarga da un orizzonte all'altro. Ci si perde. Solo stelle, stelle ovunque, non ci sono parti scure, ma solo infiniti punti luminosi. Torno a guardare il fuoco che a poco a poco si spegne, con un sorriso sincero per come mi sento vivo, laggiù, da solo, nel niente. Sono lì, col viso che scotta, quando un leggero soffio di vento mi gela la schiena mentre guardo le braci che si ravvivano riversando nella notte i loro ultimi bagliori; sono lì, e sono vivo. Che serata indimenticabile!

L'indomani mattina, a mia insaputa, inizia una delle giornate più impegnative di tutto il viaggio. Decido di raggiungere la località di Dörvolijn passando a nord del lago. Tutto scorre liscio e supero il villaggio di Dörgon, dove faccio rifornimento e mangio qualcosa. Mano a mano che vado verso est, però, le difficoltà aumentano. La pista inizia a peggiorare e a diventare sabbia, e con la moto così carica è come tenere un toro per le corna. Procedo lentamente, penso che prima o poi finirà, 20, 60, 100 km la moto mi cade almeno una dozzina di volte, per fortuna riesco a tirarla su senza scaricarla, anche se lo sforzo è sovrumano. Mi perdo. Il Gps non ha tracce, e la carta ha una scala improponibile per una navigazione topografica. La pista per Dörvulijn è più a est, devo tagliare via trasversalmente. In Mongolia non esistono strade. Così, come ho fatto altre volte, mi dirigo verso quella direzione senza seguire una pista. Mi insabbio, bene o male riesco ad uscirne e a trovare qualcosa dopo una decina di km. Su quella che sembra la pista incontro due mongoli alle prese con dei cavalli, mi fanno capire che la via per Dörvolijn è impraticabile perché totalmente insabbiata. Si sta facendo buio e un po' sfiduciato decido di tornare sulla pista precedente, da lì poi deciderò cosa fare. Cerco di seguire la mia traccia ma la perdo e mi ritrovo in mezzo la sabbia fonda. Si insabbia di nuovo; 4 quintali e più, stavolta però la ruota posteriore è per più di metà sotto. Cerco disperatamente di uscirne ma, nonostante il "pendolo" insisto troppo e la frizione mi fa una fumata bianca che mi si rizzano i capelli. Se me la brucio in mezzo al nulla sono fregato! Me ne voglio andare da lì, so che di notte la sabbia si raffredda ed è più facile, ma è una questione psicologica. Mi fermo, la lascio spenta una ventina di minuti e cerco un passaggio più duro, la devo tirare fuori, a costo di scavare un solco lungo 10 km! Cerco a piedi un passaggio più solido e mi accorgo che a 3 km sento ancora l'odore della frizione bruciata, speriamo bene. Trovo un passaggio tra sabbia e cespugli, vedo la pista, ce la possiamo fare! Torno indietro, con difficoltà libero la moto dalla sabbia e riparto a gas spalancato mentre le candele scoppiettano e la temperatura sale alle stelle, ma ci siamo! Ci siamo, la vedo, un ultimo sforzo e raggiungo la pista principale, lo so, c'è sabbia anche lì, ma, forse, il peggio è passato. Decido di cercare un posto per la tenda e proseguo… Dopo 5 chilometri intravedo nel buio alcune sagome, sì, c'è gente con dei camion cisterna, chiederò a loro. Stiamo andando nella stessa direzione, loro sono fermi per riparare una gomma ma mi invitano a proseguire insieme. È quasi mezzanotte, sono stanco e questo invito diventa quasi una condanna, mi dicono che in 30 km ci saremmo fermati a dormire, ma i km diventano 90 e alle 4 e mezza di mattina, dopo l'ennesima caduta nella sabbia, mi arrendo, oltretutto piove e non ho più le forze per tenerla in piedi! Ormai la pista è abbastanza chiara. Pianto la tenda sotto la pioggia. Alle 8 successive sono già pronto e li trovo a dormire solo 10 km dopo il mio campo. Proseguiamo di nuovo insieme e facciamo pure una sosta ristoratrice in una gher, mangiando una calda zuppa di tagliolini e carne bollita. In serata, finalmente, arrivo ad Uliastay e cerco un hotel, devo asciugare la roba e cercare un internet point per aggiornare il mio blog e chiamare casa. Due giorni dopo riparto verso il nord, ma dopo una decina di chilometri comincia a piovere e fa freddo, le raffiche di vento fortissimo mi fanno sbandare la moto già precaria nel fango molle e i 3 gradi condiscono il tutto. Sono costantemente tra i 1800 e i 2200 metri e tocco anche i 2500 mentre sulla mia testa imperversa una tempesta di neve. Ma devo andare avanti, anche se non vedo niente e rischio di cadere. 120 km in 10 ore, mai ingranato la seconda marcia. Ma non è possibile fermarsi visto che con tutta quell'acqua le condizioni stradali sarebbero sicuramente peggiorate. Rannicchiato nella giacca, completamente fradicio da testa a piedi (tutto l'abbigliamento anti-pioggia inesorabilmente si è inzuppato), arrivo a Telmen.
Devo fare proprio pena così bagnato e tremolante, tanto che una famiglia mongola mi ospita nella sua accogliente gher, la tipica abitazione/tenda dei nomadi. Neanche entro che mi porgono in mano una calda tazza di airag, latte di giumenta, mi danno da mangiare una fumante tazza di shölte khool, tagliolini in brodo di carne e verdure, e mi veste con roba asciutta: gente di una semplicità e gentilezza non nostre. Per fortuna la giovane figlia parla un po' di inglese, così riusciamo a scambiare qualche parola. Mi chiedono di me, della mia famiglia, del perché del viaggio, perché da solo, io invece chiedo a loro della vita laggiù. Siamo così diversi, lo capisco dagli sguardi fieri di questa gente che passa la vita in una terra dura e aspra, dove d'inverno si scende sotto i -20° per mesi, ad allevare capre e yak, a cibarsi del loro formaggio e della loro carne, a lottare contro il freddo vivendo tutti insieme in una tenda di feltro, usando batterie da auto per la corrente elettrica. Sento però questi due mondi così lontani toccarsi mediante quelle poche parole di inglese, vorrei poter condividere di più con loro, cerco di raccontare di noi, del nostro mondo, ma la lingua è un ostacolo quasi insormontabile.

L'indomani, per fortuna c'è il sole, riparto, ma la strada non del tutto asciutta mi frega un'ultima volta, cado ancora, ma stavolta, dopo decine di volte che mi è andata bene, mi rimane la gamba sotto la valigia e sono letteralmente incastrato senza potermi muovere. Dopo mezz'oretta, per fortuna, arriva un camion che avevo superato poco prima della caduta. Mi aiutano e riparto, ma la caviglia mi fa un male cane, tanto che mi devo fermare a Tsagaan Uul, per metterci del ghiaccio e fasciarmela. È gonfia e nera, ma non credo sia niente di grave.

L'indomani raggiungo Moron e poi il Khövsgöl Nuur. Nella Mongolia settentrionale l'ambiente naturale è del tutto diverso, in certi momenti sembra di essere sulle Alpi, altre volte invece l'aspetto è quello del Nord America. Il grande lago blu immerso nella taiga è una meta turistica per i mongoli ed è zeppo di occidentali che fanno trekking o passeggiate a cavallo. Non male questo "ritorno alla civiltà", dopo giorni di nulla. Mi fermo lì un paio di giorni ma il tempo è molto incerto e non mi voglio ritrovare a percorrere la strada per UB in mezzo al fango. Torno a Moron e da lì punto la prua di nuovo verso est. Trovo una deviazione e la seguo, anche se non so bene dove mi porterà e mi ritrovo tra le anse del fiume Selenge, uno spettacolo che non dimenticherò facilmente. Dopo qualche centinaio di chilometri incontro per strada "Sant'Asfalto" che mi rende tutto più facile, ma che fa davvero finire la magia della Mongolia. Arrivo, infine, nella caotica Ulaanbaatar, ma come già immaginavo, non sono felice come dovrei essere: sono arrivato, il Viaggio è finito dopo il cartello Ulaanbaatar. Il Viaggio, l'Avventura, si trova in mezzo, in quel trattino CHIOGGIA – ULAANBAATAR: è tutto lì, la Slovenia, la Croazia, l'Ungheria, l'Ucraina, la sconfinata Russia e la fiabesca Mongolia... è tutto lì, si mescola tra le strade, i problemi, la pioggia, lo sconforto, il fango, i sassi, la gioia, la sabbia, le centinaia di persone incontrate. Dai motociclisti italiani in Croazia, increduli davanti alla mole della moto, e alla mole di chilometri che mi accingevo a percorrere, al fottuto poliziotto ucraino che mi ha scucito 100 euro. Da Sergei di C'harkov che mi ha aiutato tanto e che mai mi ha lasciato solo con i suoi quotidiani messaggi "ok?" a sua figlia e il marito a Kazan, da Dimitri e la fidanzata di Ulianovsk, alla benzinaia che mi ha aiutato con la puntura di ape.
Dal grande Anton che mi ha "cambiato" il viaggio, a Alexej di Novosibirsk, da Sergei incontrato in un campo negli Altaj russi a Melusine, Volker (che ho ritrovato a Ulaanbaatar!), a tutte le decine di persone sconosciute che mi hanno aiutato lungo il lungo percorso alle quali ho "rubato" la forza per andare avanti in certi momenti. Sono tutti lì, racchiusi in quel trattino, che, come la mia strada, ha finito di scorrere superato quel cartello "Ulaanbaatar". A volte penso di poter proseguire per il Giappone, ma non ho il "carnet de passage en douane" e devo comunque aspettare 2 settimane il visto per la Russia e questo mi blocca qui (stesso problema se decidessi di tornare via terra attraverso la Russia).

Questo fantastico viaggio è veramente finito: la Cina è impenetrabile con il proprio mezzo (serve una guida locale, oltre ai visti, permessi e alla patente cinese ecc...il tutto costa molte centinaia di euro...). Il mio "istinto di viaggio" mi dice di proseguire, è davvero pronto a nuove situazioni, a nuovi problemi, a nuovi incontri, in una parola ad un nuovo mondo, perchè qui è davvero un nuovo mondo per me. Però è finita e me ne devo fare una ragione. Sono triste, ma non posso farci niente, è una cosa dentro, nel mio profondo. Presto tutto ritornerà normale, non soffrirò più il freddo dopo una giornata sotto l'acqua gelata e nel fango, non avrò più il piacere di svegliarmi in una gher in mezzo ad una famiglia mongola che mi sorride incuriosita, o di gustare un piatto immangiabile nel mezzo del nulla, o di cucinarmi i noodles tra la moto e la tenda bruciando sterco secco di yak, non mi si bagneranno più gli occhi davanti a panorami spettacolari o semplicemente sentendo un nome di città come Ulistay e non mi sentirò più così vivo come nella desolata steppa, guardando il cielo di notte davanti al fuoco... Tutte queste emozioni, così fresche e vive ora, si perderanno nel tempo, e questo è triste. Ma è così che funziona, purtroppo. L'unica cosa che posso fare per tirarmi su di morale è pensare al prossimo viaggio in solitaria, perché è questa la vera chiave del tutto. Strano a dirsi, ma sono convinto che in due o in gruppo di certe occasioni non ci si possa neanche accorgere. Se sei da solo sei obbligato ad avvicinarti agli altri, è il naturale istinto umano, e questo ti porta a conoscere più da vicino realtà così lontane. Certo è molto pericoloso, ma secondo me il rischio per un'esperienza così intensa è accettabile. E una volta che inizi non puoi più farne a meno.

Tot. Km 10.800
Fuori strada km 2.000
Moto: BMW R 1200 GS ADV 2008 (no ABS) con km 75.100
Peso moto con pieno benzina: 320 kg
Gomme: Metzeller Karoo (1 treno).